Articoli su Giovanni Papini

1971


Enrico Falqui

Le «Schegge» di Giovanni Papini

Pubblicato in: Il Tempo, anno XXVIII, fasc. 199, p. 9
Data:8 1luglio 1971




   Nella gremita bibliografia di Giovanni Papini mancava, fino ad oggi, un'opera che recasse per titolo quello dell'ultima serie di suoi scritti apparsi, lui vivente, nella terza pagina del «Corriere della sera», tra il 1. aprile 1954 e il 26 giugno 1956, con grande meraviglia di chiunque era a conoscenza dello stato miserrimo in cui lo aveva ridotto la malattia: «sempre più cieco, sempre più immoto, sempre più silenzioso». Mancava una raccolta a onoranda memoria delle «Schegge». Ma la ragione non era da addebitare a trascuraggine, era bensì da accreditare alla cautela di non incorrere in doppioni non richiesti. Va, infatti, ricordato che a due parziali scelte delle «Schegge» era già stato provveduto presso l'editore Vallecchi: nel '55, da parte dello stesso autore, con «La spia del mondo», per quelle fino al dicembre del '54; nel '56, da parte degli eredi, con «Le felicità dell'infelice», per tutte le altre, comprese le inedite e «Fuoco e neve» rimasta incompiuta nella dettatura alla nipote Anna. Inoltre, nell'antologia «Io, Papini» di Carlo Bo (Vallecchi, 1967), larga era stata la parte accordata ai pensieri, appunti, frammenti delle due ultime scelte.
   Ma a distanza di quindici anni dalla morte del «pilota cieco» (avvenuta l'8 luglio 1956), l'editore Vallecchi ha, non a torto, giudicato opportuno ripubblicare integralmente, nello stesso ordine in cui apparvero nel Giornale, tutte e quarantasette le puntate delle «Schegge», accompagnandole, in appendice, con la spiegazione del titolo fornita da un breve scritto del Papini quando ne venne riprodotta l'ultima parte in «Le felicità dell'infelice».
   Perché quel titolo? Non certo per associarsi al deprezzamento che aveva suggerito «Trucioli» a Camillo Sbarbaro per una raccolta del genere. Non sarebbe risultato idoneo per lo scrittore che aveva «tentato di sbozzare qualche grande statua», da Cristo a santo Agostino, da Dante a Michelangelo: paragonandosi, quindi, a uno scultore non ebbe difficoltà a immaginarsi circondato dalle «schegge o scaglie di marmo tolte via dal blocco per trarne fuori una libera, vera immagine». Eppure non tutti quei pezzetti di prosa avevano la stessa origine, non tutti erano dello stesso tipo. A suggerirglieli erano state anche delle fantasie e delle letture e delle riflessioni.

Molte perdite e conquiste

   Ma sbaglierebbe chi ritenesse che la loro datazione fosse tutta da mantenere dentro i limiti, dal '54 al '56, in cui furono pubblicate. E qui ricompare l'immagine del Papini statua di carne, resa immobile e muta e cieca, che adopera ogni estremo sforzo per riuscire a trasmettere alla nipote quanto ancora e sempre gli passa per la mente. Un'immagine che ha qualcosa di drammatico nell'inesauribile e indomabile necessità di esprimersi e di comunicare propria dell'autore di una settantina di opere, che contrassegnano, anno per anno, la sua laboriosa esistenza.
   Sbaglierebbe, e si dimostrerebbe lettore frettoloso, chi assegnasse le «Schegge» al periodo '54-'56. E' da sapere che, alle spalle della sua scrivania, l'infaticabile Papini teneva, addossato al muro, un alto casellario nelle cui caselle, ben distinte da etichette, veniva via via spartendo e accatastando quanto l'ispirazione e la meditazione lo sollecitavano a mettere in carta, consentendogli di saltare liberamente dall'uno all'altro argomento, ogni qual volta non si trovava in obbligo di correre lungo la falsariga di un tema prestabilito. A Papini premeva di non rimanere mai inoperoso: lavoratore che sentiva di doversela guadagnare la giornata, se voleva, a sera, ritrovarsi in pace con la sua coscienza. Così, ripiene della sua larga e ondeggiante scrittura, le cartelle si accumulavano, formando una specie di diario in continua crescita, o anche una sorta di ideario in perpetuo movimento. Ai quali, poi, attingeva a seconda delle occorrenze: storia, geografia, religione, letteratura, musica, teatro, pittura, poesia, critica, ricordi, ritratti, eccetera. Opere come il « Giudizio universale» o come il « Dizionario dell'omo selvatico» dovettero comporsi quasi da sole, spontaneamente, pezzo per pezzo; e come quelle, tante altre in rispondenza al gusto e al capriccio dell'autore, che non per caso si trovò a partecipare della «Voce» in misura preponderante.
   La stampa e ora la ristampa delle «Schegge» ha, dunque, un suo valore, che è anche quello di non aver lasciato muffire nelle caselle un materiale non di rado assegnabile alla prima qualità in quanto non legato ad altra regola che non fosse quella della fantasia, anche quando precipitava nel polemico. Ma è un valore di cui piacerebbe poter distinguere, con tanto di data, le stratificazioni. A tal fine il variare dei temi può giovare, se riportati al momento del loro imporsi e se ricollegati alle preferenze e alle applicazioni dell'autore, quantunque sia da ricordare l'enciclopedismo culturale del quale sempre fece sfoggio, non trascurando altresì le provocazioni che gli sopraggiungevano dalla cronaca e che lo trovavano sempre pronto ad intervenire pugnacemente.
   Ma già il riscontro di una pugnacità, dove più accesa e dove più spenta, aiuterebbe alla ulteriore spartizione delle «Schegge», che dovrebbe condurre al raggruppamento e all'isolamento di quelle effettivamente «ultime»: aiuterebbe a riconoscere quanta felicità il bellicoso Papini seppe trarre dalla sua infelicità. Molto aveva perduto. Ma quanto, salvato? Ed era il meglio. E si ritrova appunto nelle «Schegge» di quando non poteva più né camminare né leggere né scrivere e il parlare stesso gli era impedito. Gli era rimasto: d'intravedere le cose e le persone «come forme indeterminate e appannate, quasi fantasmi»; di riuscire ancora a godere «una festosa invasione dì sole e la sfera dí luce che s'irraggia da una lampada», «le macchie colorate dei fiori e le fattezze di un volto»; di poter ascoltare «le parole di un amico, la lettura di una bella poesia o di una bella storia», un canto, una sinfonia. Ma ancora di più: la fede, l'intelligenza, la memoria, l'immaginazione, la fantasia, la forza di meditare, la facoltà di amare. « E ancora posso comunicare agli altri, sia pure con martoriante lentezza, i miei pensieri e i miei sentimenti.»
   Se con un piccolo asterisco si fossero potute distinguere le ultime dalle precedenti «Schegge» e se così se ne fosse potuta consentire la lettura nell'insieme della loro continuità, avremmo disposto, senza interruzione, di qualche pagina davvero ricreante. Ma non vorremo, in mancanza, andarcela a ricercare ugualmente? A ripensarci, con animo aperto e con orecchio vigile, nulla più facile del ritrovarla. E con i tempi che corrono potrà risultare di qualche aiuto. Né, del resto, quantunque tutt'altro che papiniani, noi mancammo di avvertirlo a suo tempo. Oggi gioverà ripeterlo? Ci sarà ancora chi vorrà rendersene conto?


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